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LA VITA HA UN "SENSO"
La vita ha un senso. Questo è il valore che il dottor Mario Melazzini, e tanti come lui, testimoniano a chiunque li incontri. Non è certamente politically correct il dott. Melazzini, come almeno 400 persone hanno potuto sentire domenica 4 febbraio, nell’incontro pubblico “Malattie inguaribili…curare sempre” organizzato dal Movimento per la vita di Cremona in occasione della 29°giornata nazionale per la vita promossa dalla CEI, al contrario di tanti lui non è provocatorio, racconta semplicemente la sua vita. Sicuramente è un vero laico, come dice Giuliano Ferrara “che si è posto il problema della verità e quindi non può essere considerato un fanatico ma un interlocutore che propone argomenti ai quali rispondere“ Mario Melazzini è medico primario del day hospital oncologico alla clinica Maugeri di Pavia. Cura persone che hanno ancora una speranza; al contrario la sua malattia, la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), non è curabile, è possibile, attraverso un farmaco, il Riluzolo, solamente allontanarne la fine. Nonostante questo e contro la cultura “eugenetica”, oggi ancora diffusa, espressione della pretesa di generare individui perfetti, fondata sul concetto per cui la dignità della vita è subordinata alla "qualità” della stessa misurata come standard di efficienza, salute e forma fisica, Melazzini ritiene la sua vita non inutile, fa quello che la sua situazione gli permette di fare: lotta per la vita sua e degli altri. “Ho imparato a chiedere aiuto” ha detto all’incontro a palazzo Cittanova, “questo è quello di cui una persona in difficoltà ha bisogno: cercare gli altri per capire che tu esisti e che per loro sei importante”. La malattia, che ha portato il dottore nella situazione di paziente, gli ha permesso di comprendere i veri bisogni del malato e di fare meglio, quindi, il suo lavoro. Il malato, l’uomo, non è un freddo amministratore dei propri diritti, per il quale il principio fondante della vita sembra essere: fare ciò che più aggrada, fino a decidere “come, quando e se” morire, spacciando questo come richiesta ragionevole del paziente e atto compassionevole del medico. Come infatti ha ribadito sul quotidiano cittadino il dott. Adriano Pessina (direttore del Centro di Bioetica Università Cattolica - Milano) “la morte è un fatto e non è un valore e come tale non costituisce un diritto”, mentre il grande Giovanni Paolo II il 12 novembre 2004 affermava: “La compassione, quando è priva della volontà di affrontare la sofferenza e di accompagnare chi soffre, porta alla cancellazione della vita per annientare il dolore, stravolgendo così lo statuto etico della scienza medica”. Il dott.Melazzini come lo stesso Salvatore Crisafulli, paziente cerebroleso giudicato dalla scienza di mezza Europa in stato di “non-vita” irreversibilmente vegetativa, poi risvegliatosi, possono testimoniare che la svolta della loro esistenza è stato l’aiuto degli altri. Salvatore Crisafulli, nella lettera che ha dedicato al MPV Cremonese, lo scorso febbraio, ci ha raccontato come in quello “stato” dove i medici lo ritenevano giornalmente irrecuperabile, invece sentiva l’irresistibile desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere. Afferma “Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da incubato…” “Ringrazio chi, anche durante la mia “vita vegetale”, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. La mia famiglia e i miei amici, che ha fatto ridestare in me il desiderio di non abbandonarmi alla disperazione. Certo che in mancanza di un rapporto umano di fiducia, questo viene sostituito da “due solitudini” che si affrontano, non “si incontrano”. Segno della distanza nel “rapporto medico-paziente” che contraddistingue la nostra epoca. “Rapporto” che il prof. Giuseppe Anzani, magistrato di Como, qualche mese fa, ha considerato fondamentale; “un’alleanza terapeutica tra medico e paziente è la chiave per concorrere insieme per il bene”, “l’uomo, la ragione dell’uomo, è fatta di desiderio di comprendere il significato della propria esistenza”. Continua il suo intervento, ci disse “il malato non va lasciato da solo, “la vita è un dono che appartiene alle persone ed alla società, non si vive da soli ma insieme agli altri, ecco perché bisogna avere il coraggio di aiutare chi soffre”. Anche Benedetto XVI sottolinea come “La persona umana non è, d’altra parte, soltanto ragione e intelligenza. Porta dentro di sè, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta...”Ma come è possibile in una cultura in cui l’etica viene ricondotta entro i confini di un esasperato relativismo? Dove per la visione utilitaristica e funzionalistica della vita: l’uomo è ridotto alla sua “costituzione biologica”, poiché la vita e le cose non hanno senso, così nemmeno un “essere umano”? Di fatto, come nel mondo anche in Italia, le politiche relative, la maternità (legge 194/78), i malati-terminali o inguaribili (affetti da SLA, Alzheimer ecc.) e i disabili sono intrise di abbandono. La solitudine è lo stato in cui si trovano le madri alle quali viene proposta la pillola Ru486. Questo è il gesto “amorevole” di chi vuole trasformare l’IVG (Interruzione volontaria di gravidanza) in una procedura apparentemente semplice e "pulita"; in realtà, l’aborto fai-da-te per le donne, continuerà ad essere un’esperienza di dolore e abbandono, ma l’obbiettivo è raggiunto: elevare “la sovranità dell’individuo su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente” e “trasformare il ruolo del medico in semplice dispensatore di terapie”. D’altra parte dall’attuale dibattito sull’eutanasia emerge, come, nel trattamento dei malati terminali o inguaribili, la via, più razionale e dignitosa, da perseguire sia porre fine ad una sofferenza "insopportabile". In realtà fatte le debite distinzioni fra "accanimento terapeutico" (uso sproporzionato di terapie rispetto alle condizioni del paziente); eutanasia "attiva", la quale comporta un’azione che ha, di sua natura, il potere di dare la morte; eutanasia "passiva", la quale consiste invece in una “omissione” di soccorso, che si realizza mediante la “sospensione”di terapie, comunque proporzionate alla situazione, perciò ritenute complessivamente utili (alimentazione, idratazione e ventilazione, non possono essere considerate terapie, ma cure di base); “suicidio assistito”, dove “un medico intenzionalmente aiuta una persona a commettere suicidio, sulla base della sua richiesta volontaria, procurandole i farmaci che la persona stessa si autosomministrerà; il bisogno fondamentale dei malati e delle loro famiglie sia l’essere sostenuti da un “rapporto” con i medici che ponga le condizioni in cui gli esseri umani possano sopportare le malattie stesse e la morte in maniera dignitosa. Oggi anziché essere l’etica a forgiare la scienza è la scienza stessa a determinare ciò che è etico o meno. Nonostante l'inequivocabile risultato dei referendum del giugno 2005, in Italia non cessano gli attacchi contro la legge 40/2004. Decreto che ha posto un argine agli abusi, riconoscendo la soggettività dell'essere umano fin dal concepimento e garantendo la tutela dei suoi diritti fondamentali, il diritto alla vita e il diritto a nascere e crescere in una famiglia con un padre e una madre certi. Per un mero profitto, organizzazioni sostengono le pratiche, di selezione embrionale (diagnosi genetica reimpianto); di crioconservazione degli embrioni e l’utilizzo degli stessi "orfani" per la ricerca; di sperimentazione su embrioni scongelati non impiantabili che, tuttavia, non possono essere considerati biologicamente morti. In questo contesto storico e sociale il Movimento per la Vita si propone di promuovere e di difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni uomo, dal concepimento alla morte naturale, favorendo una cultura dell’accoglienza nei confronti dei più deboli ed indifesi e, prima di tutti, il bambino concepito e non ancora nato. Non è vero – come spesso si dice – che quando una donna è orientata nel senso della I.V.G. la sua decisione è matura e immodificabile. La gran parte dei 75.000 bambini fatti nascere nei CAV, dal 1975 ad oggi, ha più o meno intensamente corso il rischio di non nascere. Nel solo quindicennio e tra i soli CAV che hanno informato su questo particolare, 7401 donne avevano già in mano il documento che le autorizzava ad effettuare l’I.V.G. La loro volontà di abortire era stata formalizzata persino in uno scritto da loro firmato (art. 5 L. 194 ). Molte avevano già fissata la data per l’intervento. Qualcuna era già ricoverata in ospedale. Di queste 7401 gestanti, ben 5476 hanno poi partorito e solo una minoranza (1925) ha effettuato l’I.V.G. Analogo risultato è dimostrato da “Progetto Gemma”, un servizio di “adozione a distanza ravvicinata” per cui un singolo, una famiglia o un gruppo eroga 160 euro al mese per 18 mesi ad una madre la cui determinazione ad abortire è consolidata. Questo servizio, in un decennio, ha realizzato circa 10.000 adozioni, facendo nascere 12000 bambini ed ha erogato 30 milioni di euro. Tra le cause della propensione all’aborto le difficoltà di ordine economico sono quelle più frequentemente indicate, ma se la condizione della donna viene più profondamente esaminata ci si accorge che la causa più generale, una sorta di comune denominatore, è la solitudine: la gravidanza appare un evento troppo pesante per essere portato sulle sole spalle della donna, così la relazione umana, la compagnia dei volontari dei Centri di aiuto alla vita può eliminare le cause della dolorosa scelta dell’aborto. Citando il nostro Papa Benedetto XVI:“Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità.” Noi riteniamo che ”le difficoltà della vita non si risolvono eliminando la vita, ma superando le difficoltà”.
Diego Negrotti e Pietro Tira