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Niguarda, dalla nascita di Cristina una speranza per tutta la sanità
L’esperienza di una nascita
difficile e l’autentico scopo
della medicina
di Claudio Betto - Direttore Neurorianimazione Niguarda
Mi permetto da medico, oltre che da lettore
del Corriere, di scrivere queste righe in
merito alla vicenda della nascita di Cristina
Nicole (evento da noi atteso per oltre due mesi nel
reparto di Neurorianimazione dell’Ospedale Niguarda),
sia perchè coinvolto direttamente, ma anche perchè
colpito dalla grande e comprensibile eco che questo
fatto ha avuto sulla stampa.
Desidererei sottolineare quello che mi sembra un
innegabile punto di speranza che, dall’esperienza
vissuta in queso difficile periodo, viene a tutti noi
che lavoriamo in “sanità” e più in generale a tutti gli
uomini, noi compresi, che di questa sanità prima o poi
avremo bisogno.
Quando la mamma di Cristina Nicole giunse in reparto
di Rianimazione, è emerso subito tra tanti colleghi ed
amici un unico “filo rosso” circa il percorso possibile,
non facile, ma sempre chiaro: per la mamma non
potevamo fare più niente, ma per il bambino nel suo
grembo si.
A questo dovevamo rispondere; “servire” con tutte
le nostre capacità questo essere umano piccolissimo
e totalmente indifeso, unendo tutti gli sforzi e le
competenze, in qualche modo rivoluzionando il
nostro “approccio monospecialistico” di lavorare,
e chiedendo anche a chi nel nostro ospedale ha
compiti prevalentemente organizzativi di favorire e
accompagnare questa situazione di assistenza così
particolare.
Nulla di diverso è stato fatto da quello che cerchiamo
di fare per ogni ammalato che arriva alla nostra
osservazione, solo la circostanza era particolarissima.
Ma la circostanza particolarissima e difficile ha
paradossalmente reso più chiaro come procedere:
bisognava riconoscere ed accettare, pur nella
misteriosa drammaticità di queste vite, l’unica
evidenza che la realtà clinica suggeriva. avere cura
della vita del bambino. Eravamo certi che questa
scelta, un impegno giocato sull’ineliminabile positività
della vita, indipendentemente dalle circostanze e dai
condizionamenti, avrebbe prodotto un bene anche per
questa donna e i suoi familiari, quale che fosse l’esito
ultimo.
Vorrei sottolineare che la storia di Cristina e della
sua famiglia, e l’esperienza di chi ne ha avuto cura
in questi mesi, insegna che è ancora viva, vitale e
possibile una medicina che non dimentica il suo scopo:
la cura dell’uomo. Una medicina e degli ospedali che
non seguono le seduzioni utopiche di chi pensa di
costruire l’uomo perfetto o senza limite, ma accettano
di prendersi cura umanamente, scientificamente,
professionalmente di ogni uomo di oggi in tutti i suoi
limiti.
Non negare la vocazione “umanistica” della medicina
e quindi affermare il primato dell’antropologia sulla
scienza, ha significato per noi un sicuro ancoraggio
per le nostre scelte, in un orizzonte più ampio di
quello della pura probabilità statistica, un orizzonte
che ci ha consentito di non tradire la speranza offerta
a Cristina e ai suoi genitori, e di ottenere un grande
risultato; come ha ben compreso il papà di Cristina
Nicole, quando ha detto “questo successo si deve alla
forza della mamma, a Dio e ai medici dell’ospedale”.
Talvolta le circostanze eccezionali mettono in luce
quello che sfugge nella quotidianità e sono paradigmi
che ci costringono a riconoscere la vera e misteriosa
natura di cui siamo fatti.
In movimento per la vita!!!
In quell'occasione Diego Negrotti e Leonardo Siri (Nacho) si sono recati a Roma per recuperare il Camper del MPV, poi portato e allestito in p.zza Stradivari a Cremona.